Francesco di Assisi, un testimone della pace
di Panaghiotis Aristomenis Yfantis
1. Introduzione
Per introdurre il tema che mi è stato richiesto di trattare nell’ambito del presente convegno, vorrei accennare brevemente a quali potrebbero essere gli elementi fondamentali di una sua trattazione convenzionale. Una trattazione convenzionale di questo tema metterebbe in risalto come Francesco di Assisi (1181/2-1224) sia stato un ardente e instancabile araldo della pace, della rinuncia ai conflitti e del rifiuto della violenza, tanto da poter essere universalmente riconosciuto (e variamente strumentalizzato) come un precursore dei movimenti pacifisti contemporanei e delle varie forme di solidarietà sociale. Una trattazione più spirituale, ma ugualmente convenzionale, della pace francescana, mostrerebbe poi come Francesco avesse acquisito presto uno stato di pace interiore1, cioè una forma d’imperturbabilità o impassibilità spirituale, che da una parte lo preservava o lo distoglieva dal coinvolgimento nelle vicende sociali e dall’altra gli consentiva di trovarsi in una comunione stabile e costante con le realtà celesti, essendo ormai diventato superiore o indifferente rispetto a quelle umane.
Il carattere convenzionale di questi due modi di trattare il tema consiste negli stereotipi che sono frutto dei principali approcci ermeneutici a Francesco, tra loro quasi contradditori: da un lato, quelli che cercano di strapparlo all’ambito del suo impegno ecclesiale rappresentandolo come un campione della lotta sociale o un ingenuo “trovatore” che canta la primavera dei sensi e delle passioni del Rinascimento umanistico, nel bel mezzo dell’inverno del Medioevo; e dall’altro lato, ci sono gli stereotipi che favoriscono e riproducono un’interpretazione statica della santità, talmente lontana dal realismo biblico e dal dinamismo relazionale della lotta spirituale da ignorare la vita reale o semplicemente da superarla con pii quanto inconsistenti surrogati.
Nel seguito dunque cercheremo di tratteggiare la presenza e la testimonianza di pace di Francesco attraverso specifiche tappe e scelte, che presuppongono altrettanti dilemmi o stadi della lotta spirituale. Come dimostrano le primitive fonti francescane2, il santo di Assisi era un fedele osservante del vangelo poiché sapeva prima di tutto che la pace autenticamente cristocentrica presuppone quella “violenza” indispensabile e parimenti cristocentrica che è richiesta per entrare nel regno di Dio3.
2. L’epoca, il temperamento e la conversione
Restando dunque fedeli alle fonti francescane e rispettando il contesto storico e anche la realtà di un uomo del XIII secolo, vale la pena prima di tutto notare che l’epoca in cui visse Francesco fu segnata da tensioni a tutti i livelli della vita politica, sociale, ecclesiale e spirituale. Nel seguito faremo riferimento a questi aspetti, allo scopo di inquadrare nel contesto storico appropriato l’esperienza di Francesco e il suo attivo coinvolgimento nelle vicende del tempo.
Francesco, come è stato affermato con argomenti convincenti, basati sugli eventi che segnano la sua vita giovanile, aveva un temperamento piuttosto impulsivo, “violento”, un “temperamento di un combattente”4, che egli fino al momento cruciale della conversione dimostrava nei campi di battaglia: all’inizio, nel 1198 e nel 1199, nell’insurrezione sociale dei borghesi della sua città contro i feudatari locali e nella lotta civile che seguì – ricordiamo che egli, in quanto figlio di un ricco borghese, apparteneva alla classe media in ascesa – e poco più tardi, tra il 1202 e il 1209, nel conflitto tra Assisi e Perugia, doveva avevano trovato rifugio i nobili della sua città. In particolare, questo conflitto costerà al giovane cavaliere coraggioso e ambizioso l’esperienza della prigionia. Sfinito e abbattuto, intraprenderà una nuova spedizione militare, questa volta in Puglia, la quale tuttavia non andrà in porto, perché, come scrivono le fonti, una voce lo fermò a Spoleto, come un segno precorritore dell’imminente conversione5.
La combattività e l’impulsività del carattere di Francesco, insieme alla sua indole estroversa e comunicativa e al suo coraggio6, non scompariranno né diminuiranno dopo la sua conversione. Del resto, come sottolineano i maestri dell’antropologia ascetica, il pentimento e la vita spirituale non sradicano le passioni, poiché questo significherebbe una mutilazione psicologica ed esistenziale. Semplicemente, il pentimento riorienta la potenza che alimenta le passioni verso la pratica delle virtù. Ciò è confermato anche dal momento cruciale della conversione di Francesco. Come egli stesso confessa nel suo Testamento, il suo pentimento è legato a un drammatico atto di riconciliazione e presuppone anche un impressionante superamento di sé, ovvero una vittoria nella lotta che Francesco raggiunse non solo lasciandosi dietro la sua precedente vita di peccato ma anche la sua radicata avversione nei confronti dei lebbrosi, i quali al suo tempo non erano soltanto una minaccia ma erano anche caricati di un indelebile stigma sociale. Leggiamo: “Il Signore così diede a me frate Francesco di cominciare a far penitenza: essendo nei peccati, troppo mi sembrava amaro vedere dei lebbrosi, [2]. E lo stesso Signore mi condusse tra loro e feci loro misericordia. [3] E allontanandomi da loro, ciò che mi era sembrato amaro mi si trasformò in dolcezza nell’anima e nel corpo”7. Nello stesso passo l’attiva presenza di Cristo nell’evento della conversione già adombra il contenuto biblico della pace; ma su questo torneremo più tardi, focalizzando la nostra attenzione su altri passi dei suoi Scritti.
3. Rottura familiare, tensioni ecclesiali e abbandono alla volontà di Dio
Rimanendo nello stesso periodo della vita di Francesco, cioè negli anni critici delle sue scelte fondamentali, troviamo di nuovo la violenza interiore per l’acquisizione dell’altra pace. Pregando di fronte al Crocifisso di San Damiano, nei dintorni di Assisi, Francesco riceverà da Cristo il comando di ricostruire la sua Chiesa che rischia di andare in rovina8. Francesco inizialmente accoglie il comando in modo letterale e comincia a ricostruire le chiesette abbandonate della zona. Il padre di Francesco sarà infastidito dal comportamento di suo figlio, che egli ha predestinato come successore nell’impresa familiare, e la rottura definitiva non tarderà. Francesco si denuderà davanti al vescovo di Assisi, rinnegando qualunque legame con il padre naturale e abbandonandosi nelle mani di quello celeste. I lettori della narrazione biografica di solito si fermano alla drammaticità quasi teatrale della scena, che culmina nel gesto ugualmente toccante del vescovo che ricopre il corpo nudo di Francesco con il suo manto, quasi anticipando la relazione che la Chiesa avrà con il santo. Tuttavia, dietro a tale drammaticità, emergono clamorosamente la risolutezza e la violenza dell’uomo che rivendica e proclama la propria parentela con Cristo9. E qui la scelta spirituale ha un carattere violento e combattivo, che conduce in modo doloroso alla pace interiore: attraverso la sua volontaria ricerca della condizione di orfano e la simbolica uccisione del padre, Francesco si abbandona alla divina volontà e al riparo della “Madre Chiesa”10.
Il significato simbolico della frase rivoltagli personalmente dal Crocifisso di San Damiano, associato ai brani biblici sulla vita apostolica che ascoltava durante la divina liturgia, condurranno Francesco alla scelta forse più importante della sua vita: la fondazione di una comunità , la quale fino quasi alla fine della sua vita avrebbe costituito lo spazio per eccellenza dove ricercare e ottenere la pace. Ciò nonostante, anche questa decisione presupponeva una scelta difficile e anche una determinazione, che Francesco difese con forza e risolutezza ignorando i pericoli. È l’epoca in cui la Chiesa istituzionale in occidente guarda con diffidenza ogni nuovo tentativo di vita comunitaria, a causa dei vari movimenti laicali che, con il pretesto di un ritorno all’ethos evangelico e dell’insufficienza o indifferenza del clero, arrivavano al punto di negare il valore dei sacramenti e la struttura gerarchica del corpo ecclesiale. I biografi di Francesco fanno riferimento ai sintomi di un clero che vive nell’inerzia, ma anche all’incapacità del monachesimo tradizionale dell’epoca nel corrispondere alla sua missione. Sapendo che l’oriente segue il momento più buio della notte, essi presentano con accenti drammatici questo paesaggio cupo che in molti fa da prologo alla presenza spirituale del protagonista della biografia, e che certamente a suo modo ha plasmato il modo in cui egli ha inteso e vissuto la pace. Scrive in proposito Celano, che Francesco “guardava con preoccupazione il vecchio mondo imbrattato (cf. Ap 22,11) nel sudiciume dei vizi, gli ordini (sacri) insensibili agli esempi degli apostoli e, mentre la notte dei peccati era a metà del suo corso (cf. Sap 18,14-15), era imposto il silenzio alle sacre discipline; quand'ecco, all'improvviso, emerse sulla terra un uomo nuovo (cf. Ef 4,24), e all'apparire subitaneo di un nuovo esercito, i popoli furono ripieni di stupore davanti ai segni (cf. Mc 16,20) della rinnovata età apostolica. È ora d'un tratto portata alla luce (cf. Gb 9,11) la perfezione già sepolta della Chiesa primitiva, di cui il mondo leggeva sì le meraviglie, ma non vedeva l'esempio. Perché dunque non si potrà dire che gli ultimi saranno i primi (cf. Mt 19,30), quando ormai si sono, mirabilmente, trasformati i cuori dei padri nei figli, e quelli dei figli nei padri? O si potrà forse misconoscere il compito così celebre e famoso dei due Ordini, e non ritenerlo come presagio di qualcosa di grande che debba accadere tra breve? Di fatto, dal tempo degli apostoli non fu mai proposto al mondo insegnamento così autorevole, così mirabile”11.
La parentela tra la religio novella dei Frati minori e gli altri movimenti laicali dei predicatori itineranti (tra di essi i Valdesi, gli Umili e anche i Catari) può essere individuata nella richiesta comune di “risveglio evangelico”12; tuttavia la loro differenza più importante, che mostra la determinatezza e l’ardire di Francesco, e che è direttamente connessa con il nostro tema, è la sua irremovibile decisione di restare fedele alla Chiesa e di rifondarla dall’interno con la predicazione della penitenza e l’esempio personale13, evitando la tentazione di sostituirla. Infatti, anche se lottò per conservare il carattere laicale del suo movimento, rifiutando così di sottomettersi a una delle tre regole del monachesimo tradizionale, secondo le esplicite decisioni del Concilio Lateranense IV (1215)14, volle ricevere l’approvazione pontificia della “forma di vita” (forma vitae) dei Minori. Francesco era sicuro che, nonostante la giustificata diffidenza e l’ostilità della gerarchia, lui e i suoi frati portavano un’altra testimonianza di pace e di unità, dimenticata ma durevole. Un cronachista dell’epoca commenta in proposito: “Però, se osserviamo attentamente la maniera di vivere della Chiesa primitiva, dobbiamo concludere che non tanto aggiunse una nuova Regola, quanto piuttosto rinnovò quella antica, rialzò quella che giaceva per terra, e ravvivò la religione che era quasi morta, in questa sera del mondo avviato al tramonto, mentre urge il tempo del figlio della perdizione. Ed ha così preparato nuovi atleti per lo scontro con i tempi dell’Anticristo pieni di pericoli, premunendo e rafforzando la sua Chiesa”15.
4. La pace cristocentrica come riconciliazione tra cielo e terra e le fondamentali scelte bibliche e sociali
Ancora negli Scritti di Francesco si può constatare come la pace per lui non sia la negazione della violenza e l’assenza di guerra, cioè un bene impersonale e astratto. Al contrario, essa ha una chiara base cristocentrica, che affonda le sue radici nell’opera salvifica del Dio-Uomo, la quale si ripete nella divina eucaristia – che costituiva il centro della vita comune della comunità dei frati. Nella sua Lettera all’ordine scrive, citando la Lettera agli Efesini: “Pertanto, scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con tutto l'amore di cui sono capace, che prestiate, per quanto potete, tutta la riverenza e tutto l'onore al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, nel quale tutte le cose che sono in cielo e in terra sono state pacificate e riconciliate16 a Dio onnipotente”17. E in un’altra sua lettera, questa volta ai fedeli, sembra incapace di esprimere la sua riconoscenza per la pace e l’unità che Cristo ha inaugurato con il proprio sacrificio18 e per le quali egli ha pregato il comune Padre celeste19: “Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale offrì la sua vita per le sue pecore, e pregò il Padre dicendo: "Padre santo, custodiscili nel tuo nome, coloro che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me”20.
Francesco intende la pace innanzitutto in modo biblico: si tratta della riconciliazione tra Dio e l’uomo, tra cielo e terra, tra il di qui e l’al di là, tra l’adesso e il sempre, che Cristo ha inaugurato con la sua incarnazione. Anzi, nella seconda versione della Lettera ai fedeli, Francesco colloca la pace che viene dal cielo tra il rispettoso ossequio e la carità21. Il klimax è evidente: il timore di Dio e l’osservanza dei suoi comandamenti generano la “vera pace” come riconciliazione con il Creatore, per dare frutto in opere di carità.
Francesco evidenziò il cristocentrismo che attribuiva al contenuto e ai frutti della pace con la sua esplicita confessione che lo stesso Cristo gli rivelò il saluto di pace22, che tanto sorprese i suoi contemporanei, e il contenuto della sua predicazione, su cui ritorneremo fra poco.
Su questo canovaccio biblico s’inquadrano agevolmente e si comprendono pienamente le evidenti connotazioni sociali del messaggio francescano della pace.
La scelta del nome del movimento francescano23 può rimandare ai “fratelli più piccoli” della parabola biblica24, ma è anche un’evidente riferimento ai minores dell’epoca, cioè a coloro che erano economicamente deboli, che insieme ai lebbrosi e agli emarginati rendevano sensibili agli occhi di Francesco gli aspetti sociali del Gesù storico25, e per questo egli li amava, si prendeva cura di loro e si sforzava di farsi loro simile. Parimenti biblica e allo stesso tempo sociale è la demonizzazione del denaro26 e la difesa della povertà e della rinuncia a qualunque preoccupazione materiale27. Quando il vescovo di Assisi notò che la vita dei Minori era oltremodo dura a causa della povertà, Francesco gli rispose con franchezza ma anche in modo fedele alla Bibbia: “Messere, se avessimo dei beni, dovremmo disporre anche di armi per difenderci. È dalla ricchezza che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l'amore di Dio quanto l'amore del prossimo”28.
5. La pace come impresa ascetica
Nell’Ufficio della Passione del Signore che Francesco compose mettendo insieme diversi versetti biblici, ripeterà che la pace è e resta un dono celeste, e tuttavia la sua accoglienza e la sua messa a frutto presuppongono la “buona volontà”, cioè la libertà dell’uomo29. Questo brano a cui ci riferiamo collega da una parte l’elemento biblico, il dono della pace, con l’elemento ascetico, la sua accoglienza da parte dell’uomo, che ci occuperà in questa sezione.
Infatti, per quanto la riconciliazione tra Dio e l’uomo sia stata realizzata “una volta per tutte” (hapax) nell’evento Cristo, la sua assimilazione determina per ogni fedele una lotta di tutta la vita, per accordare la propria volontà con il disegno eterno di Dio per la salvezza e il riconoscimento della verità30, di quella verità che libera31 e riporta la persona umana al suo originario splendore teandrico. Francesco con ogni probabilità non conosceva la frase di Crisostomo che dice che la mentalità carnale è inimicizia con Dio32, e tuttavia con la sua vita manifesta l’aspetto opposto, che cioè la pace con Dio e anche la riconciliazione con la propria identità cristocentrica interiore si ottiene con l’automortificazione ascetica33, con la purificazione e con la conseguente pratica delle virtù.
E qui l’acquisizione della pace in Cristo come amicizia con Dio, e per estensione con se stessi e con il prossimo, presuppone uno spirito di lotta e una tenacia, alquanto inadeguate rispetto a una comprensione mondana o antropocentrica della pace come assenza di guerra, o anche alla rappresentazione romantica stereotipata di Francesco come un ingenuo “trovatore”. Raffigurando concretamente la sua relazione organica con la lunga tradizione ascetica della Chiesa indivisa, Francesco organizza una forma di vita basata appunto sull’autobnegazione34, ovvero sulla sottomissione dell’io, delle passioni della gola, dell’avidità, dell’ambizione e dell’amore del potere e, ovviamente, sulla lotta contro le tentazioni carnali, la quale giunge fino all’odio del corpo per il bene dell’anima35. Non è un caso che la prima Regola che Francesco sottopose per l’approvazione a Roma sia stata respinta a motivo della sua durezza.
Le primitive fonti francescane fanno ampiamente riferimento alle costanti ascetiche che contribuivano a plasmare la fisionomia spirituale dello stesso Francesco e dei suoi primi discepoli, e mostrano come egli avesse chiara coscienza che la pace che egli perseguiva passava attraverso la fornace della lotta spirituale contro la carne amica del peccato, contro i demoni e contro il mondo. Secondo il racconto dei biografi di Francesco, tutti i primi frati indistintamente si dedicavano a una dura ascesi e osservavano digiuni estenuanti e continui36, mentre lo stesso Francesco – che aveva l’abitudine di chiamare il suo corpo “frate asino” – di fronte a un violento assalto delle tentazioni carnali, fu costretto a immergersi tutto nudo nella neve, per domarlo37 (tra parentesi, esattemente nello stesso modo affrontò il demone della fornicazione uno dei pionieri dell’esperienza ascetica orientale, come ci informa Palladio nella Storia lausiaca38).
Possiamo rintracciare un’elementare fondazione teorica di queste esperienze di Francesco nei suoi stessi Scritti. Nella sua Regola non bollata, utilizzando lo schema antitetico a lui caro tra corpo e anima fa riferimento alla necessità “di disprezzare e mortificare la carne e di ricercare l’umiltà e la pazienza e la pura e semplice e vera pace dello spirito”, che culminano nel “divino timore, nella divina sapienza e nel divino amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo”39. Nella stessa direzione si muovono anche i suoi riferimenti espliciti alla beatitudine biblica dei “pacifici”. Francesco sottolinea che “sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo”40. In una sua altra Ammonizione, identifica la pace con la pazienza e l’umiltà che deve dimostrare il frate che lotta nell’ora della prova, delle tentazioni o della sua infermità41, mentre deve dimostrare un sostegno senza mormorazioni nell’ora difficile vissuta dal fratello42. Per il vero asceta, la conferma della sua maturità spirituale e della sua pace interiore avviene attraverso le prove, e non solo sul piano individuale ma anche nella sua relazione con il prossimo. In molti passi degli Scritti, dove Francesco descrive le relazioni tra i frati, insiste sulla necessità di evitare le contese e le liti43 e di perseguire costantemente la carità44, la tolleranza45, la solidarietà46 e la compassione47.
Tutte queste esortazioni potrebbero essere considerate alla stregua di un moralismo convenzionale o di un autonomo codice di comportamento. E tuttavia, l’ethos ‘agonistico’ di Francesco rimane autentico perché, senza mai diminuire il valore dell’ascesi, non arriva mai ad assolutizzare le opere ascetiche, e perché con la sua posizione equilibrata insegna che l’ascesi è un mezzo prezioso, ma non può competere né sostituire la meta che è l’amore sacrificale, il superamento dell’individualismo, l’umiltà, in una parola la “pace in Cristo”. In uno degli episodi più commoventi conservati dalle fonti primitive, un frate durante la notte cominciò a gridare: “Muoio, fratelli miei, muoio di fame!”. Francesco chiese subito che si apparecchiasse la tavola e, interrompendo il suo austero digiuno, cominciò lui stesso a mangiare e anzi invitò a questo “dovere di carità” anche gli altri frati, perché il loro fratello affamato non provasse vergogna48. L’autenticità di una tale pace, che è forgiata attraverso la trasformazione ascetica del fedele, è attestata anche dall’insistenza di Francesco sull’umiltà, la virtù somma che sola può domare il narcisismo spirituale, che tende sempre insidie in modo nascosto ai gradi più elevati della scala delle virtù, per far cadere a terra il fedele che sta lottando. Alla prospettiva di questa “pace in Cristo” che si può sperimentare attraverso uno stile di vita ascetico bisognerà collegare anche la “vera e perfetta letizia” la quale, secondo Francesco, consiste nella pienezza interiore e anche nella gioia che il frate prova perfino quando lo maledicono, lo disprezzano o lo respingono49.
6. Consolidamenti spirituali e pratici: predicazione, riconciliazione con la creazione e glorificazione
Parallelamente all’istanza costante dell’acquisizione e della custodia della pace interiore attraverso l’ascesi, e quei momenti di pienezza nella relazione con Dio e con i suoi frati, Francesco non ignora il dovere profetico e apostolico della testimonianza per la pace. Questo contenuto non è connesso semplicemente con la rivelazione divina relativa al saluto di pace, ma anche con un grande dilemma che Francesco dovette affrontare quando, nei primi anni della sua conversione, mentre aveva attorno a sé pochissimi discepoli, si interrogò se doveva seguire la vita contemplativa della preghiera e della solitudine o la via nuova e piena di pericoli della predicazione continua. Alla fine, con l’aiuto di Dio e il consiglio di Chiara, scelse la seconda via, quale perpetua condizione di vita e componente fondamentale della forma di vita francescana50. Il caratteristico saluto, come ci informano le fonti, a volte in modo allusivo, a volte in modo più esplicito, era indissolubilmente legato al contenuto della predicazione. Il primo biografo di Francesco racconta di lui: “Il valorosissimo soldato di Cristo passava per città e castelli annunciando il Regno dei cieli, la pace, la via della salvezza, la penitenza in remissione dei peccati; non però con gli artifici della sapienza umana, ma con la virtù dello Spirito (1Cor 2,4)”51. È probabile che l’autore caratterizzi Francesco come soldato per influenza dalla terminologia tipica degli ordini cavallereschi dell’epoca52, con cui evidentemente l’Ordine dei Minori non presenta quasi nessuna analogia, tanto nella struttura quanto nelle priorità spirituali. E tuttavia, la similitudine rimane felice non solo a causa del quasi ironico gioco di parole, ma anche perché rimanda alla violenza e alla combattività della prima giovinezza cavalleresca e militare di Francesco, la quale ora è posta semplicemente a servizio di uno scopo radicalmente opposto.
Infatti, il già ambizioso cavaliere che con zelo si gettava armato nelle battaglie, adesso ormai guidava un picoclo esercito, armato con la semplicità della sua parola, la preghiera53 e le sue buone opere54 cercando di seminare in nome di Cristo la riconciliazione tra le città italiane che si dilaniavano a vicenda55. L’intensa memoria del “nuovo evangelista” (novus evangelista)56 della pace sarà mantenuta viva anche dal lontano erede alla guida dell’ordine, nonché biografo “ufficiale” di Francesco, Bonaventura, il quale annota: “In ogni sua predica, all'esordio del discorso, salutava il popolo con l’augurio di pace, dicendo: ‘Il Signore vi dia la pace!’57. Aveva imparato questa forma di saluto per rivelazione del Signore, come egli stesso più tardi affermò. Fu così che, mosso anch’egli dallo spirito dei profeti, come i profeti annunciava la pace, predicava la salvezza e, con le sue ammonizioni salutari, riconciliava in un saldo patto di vera amicizia moltissimi, che prima, in discordia con Cristo, si trovavano lontani dalla salvezza”58.
Qui la la testimonianza della pace è il traboccare dell’amore e della pienezza interiore nella forma di un invito a una vita di amore e di riconciliazione. Soprattutto, si tratta di un invito aperto, che non è limitato soltanto ai cristiani che sembrano aver perso la loro bussola spirituale, ma anche ai non cristiani. I relativi precetti dello stesso Francesco sono contenuti nel capitolo 16 della Regola non bollata che reca come titolo: “Di coloro che vanno tra i Saraceni e gli altri infedeli”. In questo capitolo Francesco sottolinea che i frati devono comportarsi “spiritualmente” davanti agli infedeli e distingue due modi o piuttosto due atteggiamenti interiori dei frati, che mostrano l’influenza determinante del contenuto di pace della predicazione sulla modalità della sua espressione. Il primo modo consiste nell’evitare le contese e le liti verbali e nella semplice confessione della fede cristiana. Il secondo consiste nell’annuncio della parola divina, con discrezione, affinché gli ascoltatori possano credere ed essere battezzati59. Anzi, sapendo che l’impresa della predicazione tra gli infedeli può risultare fatale, lo stesso Francesco si affretta a ricordare ai suoi fratelli che colui che rimane fedele fino alla fine sarà salvato60. Celano sottolinea in proposito che la predicazione francescana tra gli infedeli ha un duplice movente: “la salvezza del prossimo e il desiderio del martirio”61. Tuttavia, come nota uno studioso contemporaneo, tenendo conto che il testo fa riferimento anche alla sottomissione dei predicatori ai destinatari dell’annuncio, “l’unico martirio” che Francesco desiderava, “era la perfetta testimonianza”62. Sempre sulla base dei testi e anche delle descrizioni della sua unica63 esperienza missionaria in Egitto64, noi vorremmo aggiungere che il suo unico scopo era la perfetta testimonianza della pace in Cristo.
7. La riconciliazione con la creazione
Una manifestazione della personalità e della testimonianza di Francesco non meno impressionante e ugualmente commovente è quella che riguarda la creazione. Come sottolineano le relative fonti biografiche e secondo l’analisi degli studiosi contemporanei, nell’atteggiamento di Francesco nei confronti della creazione si può individuare il significato più pregnante del termine latino innocentia, che rimanda in modo evidente alla condizione della giustizia primordiale65. Tuttavia, nonostante la sua giustificazione biblica, l’interpretazione particolare della pace con la creazione che Francesco elabora rimane nei limiti di una innocua ma statica passività. In altre parole, ignora l’atteggiamento militante del cristiano che difende attivamente tutte le creature senza distinzione proprio perché ciascuna di esse, anche quella più disprezzata, calunniata, pericolosa o insignificante, costituisce una testimonianza vivente della libertà creazionale e dell’amorevole provvidenza di Dio.
Dietro al toccante racconto del celebre accordo tra Francesco e il lupo66, che minacciava gli abitanti di Gubbio, non è difficile discernere le conseguenze dei dissodamenti intensivi che avevano scacciato gli animali dal bosco e dal loro ambiente naturale, evidentemente allo scopo di accrescere il profitto. Anche se Francesco rimprovera il lupo perché assale gli uomini, tuttavia la soluzione che gli propone, cioè di rimanere in città e di accettare il nutrimento dai suoi abitanti, mostra di riconoscere all’animale quei diritti che Dio gli aveva concesso ma di cui gli uomini lo hanno privato. Press’a poco seguendo la stessa logica, Francesco cerca di imporre a tutti gli uomini l’obbligo, nel giorno di Natale, di offrire del cibo non solo ai poveri, ma anche agli uccelli e agli animali che si trovavavo nella mangiatoia accanto a Cristo neonato67. Altrove, ancora, leggiamo dell’insistenza e degli argomenti teologici con cui egli strappò una torma di tortore alle mani di un tale che aspirava a venderle, e dopo egli costruì loro un nido perché facessero compagnia ai frati come animali domestici68. Nessuno però deve dimenticare che questo suo atteggiamento assolutamente positivo nei confronti della creazione ha un contenuto eminentemente teocentrico. Per questo, mostrava un amore particolare nei confronti di alcuni animali, come le allodole69, che gli ricordavano i fratelli umili, o un agnello che se ne stava tranquillo tra i cinghiali, perché gli ricordava il Cristo in mezzo ai farisei e ai membri del sinedrio70, e invocava la riconoscenza naturale degli animali irrazionali nei confronti del Creatore allo scopo di dare una lezione o criticare gli uomini dotati di ragione, che avevano dimenticato la loro origine divina e il loro traguardo spirituale. Il suo amore profondo verso la creazione spesso combina in modo mirabile il suo temperamento poetico con la riconoscenza verso Dio. Allora, ogni cosa si trasforma in occasione e invito alla lode del comune Creatore: il vento e gli uccelli, i fiori e la luce della luna, perfino la stessa morte71, che lo porterà vicino allo Sposo amato.
8. Conclusioni
Se uno ascolta con attenzione la testimonianza francescana della pace, ha la sensazione di poter seguire mentalmente le tappe spirituali dell’asceta italiano, dalla sua drammatica conversione fino al compimento della sua vita in Cristo. Le fonti mostrano come il suo cammino verso l’acquisizione e la diffusione della pace e della riconciliazione sia stato erto, pieno di difficoltà e di fatica, una salita verso il Golgota della sua consumazione sacrificale sulla croce. Il dono divino della riconciliazione si è consolidato con la purificazione ascetica dalle passioni e la rappacificazione con il prossimo, per poi dilatarsi in compassione attiva e in amore verso tutta la creazione intera. Tuttavia, neppure gli ultimi momenti di Francesco sono stati privi di tensioni. Due anni prima della sua morte, egli si ritira dalla guida dell’ordine, e sente con sofferenza gli scricchiolii della divisione che minano l’unità della comunità. Un gelido mattino, sul monte della Verna, dove si è rifugiato per dedicarsi all’ascesi e alla preghiera, il suo corpo è adornato con le cinque piaghe del Crocifisso. Il compimento spirituale di Francesco possiede lo stesso carattere doloroso, ‘agonistico’ e sacrificale che la sua intera vita ha avuto. Per questo costituisce anche la conferma dell’unica sua meta: la sua unione con l’unico datore e garante della vera pace e riconciliazione.
La testimonianza dell’esperienza, dell’ascesi, della lode e dell’amore di Francesco somiglia a un abbraccio aperto, disposto a stringere tutti e tutto, dal momento che tutto si è trasformato in realtà fraterna: i cristiani, gli uomini di altre religioni, gli animali, i fiori, l’aria e le pietre. Per questo costituisce anche un precoce e durevole esempio di dialogo interreligioso e intercristiano. Lo “spirito di Assisi” dal 198672 fino ad oggi continua a dare un senso palpabile alle istanze del dialogo ecumenico e a mantenere viva la speranza dell’unità nell’amore tra i cristiani. In nome di questo spirito francescano si può comprendere non solo il ruolo eminente che il santo italiano cattolico-romano occupa nell’ambito di un convegno di spiritualità ortodossa, ma anche lo stentato tentativo di un teologo greco-ortodosso di balbettare la sua lontana ma sempre preziosa e durevole testimonianza sulla pace.
1 Allo “stato della pace” fa riferimento anche uno dei più appassionati studiosi di Francesco. Cf. Th. Matura, Francesco parla di Dio. Studi sui temi degli Scritto di San Francesco, Milano 1992, p. 15.
2 Per le necessità del presente studio utilizzo l’ultima edizione compatta in italiano delle primitiva fonti francescane che includono gli scritti che la ricerca contemporanea attribuisce a Francesco, e le restanti primitive fonti francescane, che si estendono cronologicamente dalla sua morte fino circa al termine del XIV secolo. Cf. Fonti Francescane. Scritti e biografie di san Francesco d’Assisi. Cronache e altre testimonianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d’Assisi. Testi normativi dell’Ordine Francescano Secolare, a cura di E. Caroli, Padova 2004 (d’ora in poi FF).